teddy boy

a jessica,
che abbia cura di p.

meisterpetz, giudicato socialmente pericoloso, è stato arrestato. negli ultimi tempi si avvicinava troppo a baite, pollai, alveari, partite di briscola a 3 e pasticcerie, sovente con le zampe infangate e senza rispettare la fila. ormai si era fatto furbo: frequenti le incursioni nei centri abitati, con tentativi di introdursi nelle case spacciandosi per testimone di geova. si tradiva solo perché suonava il campanello dopo le 9 della domenica mattina.
il radiocollare applicato la scorsa estate, per prevenire sconfinamenti pericolosi, si era rivelato inutile allo scopo ma aveva consentito a meisterpetz di stringere amicizia con molti camionisti sul brennero. la sua pericolosa confidenza con gli essere umani rischiava di diventare un cattivo esempio per i figli e rovinava il buon nome degli altri 20-25 paciosi esemplari del parco dell’adamello-brenta.
l’orso è stato catturato con la tecnica non letale della telenarcosi, che consiste nel collocare un televisore acceso sul luogo prescelto per l’adescamento, imbandito secondo le leggere prescrizioni della cucina trentina. ora è rinchiuso nel recinto del santuario di s. romedio, a coredo, dove sarà avviato al noviziato per prendere i voti con il nome di fra’ bruno.

orso sacro

o thou invisible spirit of wine,
if thou hast no name to be known by,
let us call thee devil
william shakespeare

la pioggia ha trama sottile, dispersa dal vento ricade in veli leggeri. allungo il passo senza meta, tra i radi passanti che si arenano lungo le vetrine illuminate. mi addentro in un parco sconosciuto, accolto con festosa empatia dal lugubre malvenuto degli alberi, corteccia e foglie avvolti da una grigia patina vischiosa. la deriva rallenta, sfiora un recinto e mi aggrappo saldamente alla barra di legno scheggiato. presa che allento all’istante, bestemmiando dioniso e tutti i лешие che hanno generosamente disseminato di schegge tutte le russie. oltre la staccionata, nello spiazzo di terra fangosa ed erba stentata, mi fissano un asino insolente e un orso intorpidito.
il somaro mi squadra a lungo, le gengive scoperte in un ghigno irridente, poi si dedica alla decimazione dei ciuffi d’erba superstiti. sempre tenendomi d’occhio, nel caso avessi una carota in tasca. l’orso mi getta un breve sguardo distratto, prima di affondare il muso tra le grosse zampe, allungato sul terreno. l’animale è assicurato ad una corta catena arrugginita, fissata ad un blocco di cemento verdastro. terra e umidità si raggrumano sulla spenta pelliccia bruna, il pelo del lungo collo è consumato dallo sfregamento del pesante collare, sul muso è rado ed ingrigito. miša ha l’aria vecchia e stanca. ancora una giornata tra le bancarelle del patetico mercatino di souvenir a izmajlovo, per turisti ghiotti di matrёški e samovar. all’esterno del recinto, il padrone fuma e ride sguaiatamente al telefonino. regge al guinzaglio un piccolo orso, ancora un cucciolo, appeso al polso come un palloncino sgonfio.
ingeborg mi aveva parlato del magnamiele: talvolta, di sera, passava a salutarlo. in cambio di una mela ed una manciata di ghiande, il bestione ascoltava con pazienza i suoi discorsi aggrovigliati. ho un disegno, spedito per lettera: l’orso è ritto, un colbacco sul testone, e conversa amabilmente con la piccolakrukka. sullo sfondo, un asino rumina torvo.
per giorni ho seguito i passi di ingeborg, lungo i fili dell’intricata ragnatela tessuta dai suoi racconti: lettere, telefonate, un breve diario moscovita rinvenuto nella casa di boris, ora disabitata. non potevo sottrarmi a questa inutile ricerca.
erano solo ghiande e torsoli di mela ma ci piacevano, a me e all’orso.

лешие (lešie): spiriti dei boschi, da лес (les, bosco), nascono dalle ceppaie degli alberi stroncati dai fulmini. possiedono la straordinaria ed inutile facoltà di variare la statura: nei boschi sono alti come alberi, nei prati quanto fili d’erba. infestano anche i campi di grano, come cimici nella soia, ovviamente grandi come spighe o piccoli come stoppie. agli uomini appaiono con sembianze umane ma zampe, orecchie e corna sono caprine (e daje!), simili a silvani o fauni.
ora, seguitemi.
in origine – forse fin dalla civiltà micenea – dioniso era una divinità legata al mondo vegetale (era spesso chiamato dioniso dell’albero), probabile rappresentazione antropomorfica di un antico culto dell’albero, simbolo della potenza della natura e dei suoi cicli di nascita e morte. tra le piante associate al culto di dioniso viene citato da demostene un imprecisato pioppo bianco (léikis). un semplice cambio di vocale e la parola diviene léykos (bianco). se la betulla fosse cresciuta anche nell’antica grecia non avrebbe potuto che chiamarsi léikis. quale fungo cresce in relazione simbiotica con le betulle? l’amanita muscaria, dai noti effetti neurotropici – in siberia sostituita solo di recente dalla vodka.
qui il cerchio si chiude. ma se trovo un’altra amanita, ve lo riapro e dimostro che atlantide era al largo della kamčatka.
медведь (medved’): a nord dell’emisfero boreale l’orso è il signore degli animali, con attributi quasi umani: la statura, la struttura scheletrica, l’orma, la posizione eretta, la dieta. pur potenzialmente pericoloso per l’uomo, l’orso è piuttosto un rivale nella caccia e, se non se ne invadono gli spazi, non compromette le chance dei cacciatori. con la comparsa degli allevamenti, l’affinità non viene meno: è il lupo il vero nemico. l’orso è riunito in comunità troppo esigue e disperse per costituire una fonte primaria di sussistenza; la pelliccia e le carni sono preziose e ad altre parti – come artigli e denti – sono attribuite proprietà magiche, ma le ragioni della sua caccia sono principalmente altre. per il cacciatore l’uccisione di un orso è prova di coraggio e abilità, ma prevale la dimensione sacra dell’animale, evidente nel complesso di pratiche e credenze antichissime note sotto il nome di culto circumpolare dell’orso. questi riti mirano al controllo dell’animale e, attraverso di esso, di forze e risorse della natura. l’uomo ha sempre attribuito grandi poteri agli animali da cui dipendeva per la sua stessa sopravvivenza: al centro del suo universo, divengono totem, quindi suoi antenati e creatori dello stesso mondo. Ciò determina un insieme di tabù concernenti le modalità per uccidere e scuoiare l’orso o preparare e mangiare la sua carne, oppure riguardanti alcuni segmenti della comunità – soprattutto le donne – o coloro con esperienze di incontri e visioni. i tabù cadono solo in presenza di un orso pazzo, spirito maligno, che ha aggredito e ferito senza apparente motivo.
alla credenza che l’orso possa comprendere il linguaggio umano è legato il fenomeno del tabù linguistico, per cui al vero nome viene sostituito un noa name o espressioni varie (in finlandese esistono circa 200 sinonimi), al fine di evitare il conflitto tra l’uomo e l’animale. in europa il reale nome dell’orso risale alla radice proto-indoeuropea *rkÞo-s – ricostruita sulla base del latino ursus, del greco árktos e di altre lingue come il sanscrito e l’indoariano – radice presente in tutte le lingue neolatine. tra le popolazioni nordiche delle grandi foreste, invece, troviamo solo noa names: bruno nelle lingue germaniche, magnamiele in quelle slave, irsuto in quelle baltiche, buonvitello in quelle celtiche. dalla regia mi suggeriscono che forse anche la radice proto-indoeuropea è descrittiva, in quanto l’affine parola sanscrita rakshas significa ferita. non sono note le ragioni precise di questa cautela: forse i cacciatori non volevano allarmare l’orso braccato, o credevano che potesse irritarsi e sottrarre loro la preda, oppure temevano di diventare essi stessi vittime. le popolazioni mediterranee lo nominavano con sfrontatezza solo perché incontravano più minotauri che orsi.
il culto dell’orso è diffuso in tutto il mondo. i viscidi algonchini (america settentrionale) invitano l’orso braccato ad uscire dalla tana con frasi come esci, caro nonno orso, è una splendida giornata, vieni fuori, vorrei accendere la tua pipa: spesso gli orsi perdono l’accendino. lo schizofrenico cacciatore ostiaco (siberia occidentale) chiede stupito al compagno, abbonato a focus, chi abbia ucciso l’orso: certo non l’abbiamo ucciso noi, forse l’hanno ucciso gli uccelli, forse altri cacciatori della russia. gli stronzi tungusi (siberia orientale), sulla base di falsi dossier della cia, incolpano del gesto le popolazioni vicine (solitamente gli ostiachi).
noa words: per i linguisti si tratta di parole libere da tabù. in hawaiano noa (libero) si contrappone a kapu (proibito), che si riferisce ad un antico sistema di leggi e regole, affine al polinesiano tapu o tabu. nel linguaggio pubblicitario indicano parole utilizzabili nella creazione del nome di un prodotto perché prive di connotazioni sacre, volgari o scorrette nel paese preso in considerazione per la commercializzazione. per dire, non è una buona idea vendere pennelli cinghiale nei paesi arabi.

non faremo prigionieri

sembra che meisterpetz non abbia visto l’alba, ucciso da un drappello di audaci cacciatori non lontano dal lago di spitzing, in baviera.
orso kaputt! no gozovilia piu co pecorele e galine! ha dichiarato il ministro dell’ambiente bavarese, alle cui spalle spiccava un’incisione raffigurante il primo titolare del suo dicastero.
da oltre un mese l’orso vagava tra austria e germania meridionale. un gruppo di cacciatori finlandesi con una muta di cani e un veterinario al seguito, armato di fucile caricato con proiettili soporiferi, per settimane aveva tentato invano di intercettarlo per catturarlo vivo. in austria era stato dichiarato abbattibile da oggi, in baviera soltanto da domani. ah, la leggendaria efficienza tedesca! altro che quei debosciati di finnici.
negli ultimi giorni, stranamente, meisterpetz appariva a chiunque come la madonna, spesso in luoghi distanti fra loro e nello stesso istante. era stato avvistato da 3 escursionisti a piedi, che lo avevano seguito da lontano finché il plantigrado, esasperato, non si era voltato a chiedere che favo volevano e i deficienti erano corsi urlando al più vicino posto di polizia [sic!]. una comitiva di bikers l’aveva visto sguazzare nel soinsee, in scandalosa nudità. inoltre saliva sulla cima dei monti, sodomizzava una pecora, rubava i cestini per la merenda, modificava la segnaletica dei sentieri, si rifocillava con le arnie di un apicoltore, disperdeva un corteo funebre, devastava un’edicola lignea con madonna del ’82, faceva scempio di nanidagiardino, rubava un triciclo ad un bimbo di prien, appariva in sogno ad un giornalaio di miesbach.
a me piace pensare che meisterpetz sia ancora libero tra i boschi alla ricerca di radici, licheni e bacche, vivendo da orso e facendo strage di pecore alla faccia degli allevatori ingrassati da sovvenzioni e risarcimenti di enti locali, nazionali ed europei.

giro di baviera

i don’t think my parents liked me.
they put a live teddy bear in my crib.
woody allen

meisterpetz ha spolpato l’ultimo stinco di yak. è meglio mettersi in viaggio, prima che si faccia sentire la fame e soprattutto prima che passino gli umani buffi. quanto casino per due ruote, ci sono orsi a cui ne basta una, pensa. quelle carovane di idioti fanno un tale casino, ti sbucano all’improvviso in tutti i passi del trentino, e sopra la testa ti ronzano gli elicotteri per giorni, non si può mica stare in pace.
meisterpetz attraversa l’austria e posa la zampa in suolo teutonico. giunto dalle parti di grainau, ben poco ridente villaggio di montagna, un certo languorino si fa sentire. è ora di fare uno spuntino leggero: 10 galline e 11 pecore. peccato per il miele, una stilla era la morte loro.
l’economia della baviera è in ginocchio: si tratta del secondo attacco in soli 170 anni. l’efferato criminale è sommariamente processato in contumacia e il ministro dell’ambiente bavarese, avvallato dal proprio premier, emette il verdetto: meisterpetz è condannato a morte, giudicato colpevole di crimini gravissimi. violazione di proprietà privata, reati contro il patrimonio, strage, violazione dell’accordo di schengen – è consentita la libera circolazione di merci e persone ma i plantigradi non rientrano nelle due categorie – e immigrazione clandestina, infrazioni al codice della strada – è stato dimostrato in sede processuale come, privo di opportuni sistemi di segnalazione sonora e visiva, l’imputato abbia percorso lunghi tratti di strada per giungere al recinto delle vittime.
scatta la bärenkrieg e i cacciatori già battono le foreste della baviera e del tirolo, con grande pericolo per tutte le forme di vita – compresa la propria. finora la caccia non ha sortito alcun esito, oltre alla cattura di una trentina di trevigiani, cacciatori clandestini di funghi. intanto meisterpetz ha un’esposizione mediatica da fare invidia al subcomandante marcos, un dilettante al confronto. i movimenti animalisti insorgono chiedendone l’assoluzione o, alternativamente, la cattura mediante sonnifero e il reinserimento in una comunità vegetariana di recupero – un demente si è offerto di affrontarlo con una cerbottana. le formazioni di estrema destra vogliono ricacciarlo in italia per preservare la purezza del sangue della popolazione autoctona di orsi – in realtà si tratta dei reduci di una comune di blumenkinder che conducono vita ritirata e selvaggia nelle foreste bavaresi fin dagli anni ’60. i leghisti italiani non lo vogliono in quanto di genitori sloveni, anche se trapiantati nell’adamello-brenta con regolare permesso di soggiorno. alcune compagnie d’assicurazione hanno proposto la creazione di un fondo per risarcire gli allevatori. annalarosa ha allestito una drammatica diretta da una grotta, presunto rifugio del latitante, rinvenendo significativi reperti come i propri capelli o le impronte delle pedule del cameraman. brunovespa ha mandato in onda un’intera puntata di portaporta che ha visto etologi, criminologi, il tizio della cerbottana, reinholdmessner e flaviavento discutere animatamente attorno ai plastici del distretto di garmisch-partenkirchen e del recinto della strage. è partito per i boschi bavaresi un drappello di giovani volontari della brigata sterpaia – scelti dallo stesso olivierotoscani – travestiti da orsi, provocatorio e creativo scudo umano. il plantigrado è stato perfino dichiarato sotto la protezione del papa, bavarese di nascita, il cui stemma araldico ritrae un orso rampante che si scola un boccale di birra.
meisterpetz non ha fatto una piega. dopo il lauto banchetto ha fatto perdere le sue tracce, probabilmente di ritorno nel trentino. ormai gli scalmanati a due ruote saranno in friuli.

una fame da orsi

sono terminate le scorte di salmone e meisterpetz parte per la caccia. dopo diverse giornate di trekking – nutrendosi solamente di frutti e bacche – scopre il paradiso degli orsi: un’intera mandria di yak a portata di zampa. perplesso, consulta la cartinatabacco ma l’himalaya è fuori quadro. non sa che un tale di nome reinholdmessner è tornato dal tibet con alcuni piccoli souvenir.
ma che cosa importa? valeva la pena fare tanta strada: meisterpetz ha appena notato un vitellone isolato dal gruppo. nemmeno il tempo di avvicinarsi che compare un toro di 600 chili, il capo del branco. ma come, una povera bestia scarpina fino a 2800 m e non può nemmeno assaggiare una bistecca? l’orso ingaggia una lotta feroce con lo yak, che soccombe per le letali zampate al collo.
l’animale, moribondo, viene rinvenuto dagli operai di una funivia e reynoldmessner – con l’aiuto di un veterinario e della rituale bottiglia di amaromontenegro – lo aiuta a morire. ora all’appello manca rgya smyug (brunetta, in lingua tibetana): forse la femmina di yak è caduta in un burrone mentre fuggiva oppure l’orso potrebbe averla uccisa e seppellita come scorta di cibo.
il noto alpinista ha denunciato l’accaduto, descrivendo con toni epici e drammatici il titanico scontro tra lo yak e lo yeti. fradicio di grappa al mirtillo, ha confuso il sudtirolo con il tibet.sono terminate le scorte di salmone e meisterpetz parte per la caccia. dopo diverse giornate di trekking – nutrendosi solamente di frutti e bacche – scopre il paradiso degli orsi: un’intera mandria di yak a portata di zampa. perplesso, consulta la cartinatabacco ma l’himalaya è fuori quadro. non sa che un tale di nome reinholdmessner è tornato dal tibet con alcuni piccoli souvenir.
ma che cosa importa? valeva la pena fare tanta strada: meisterpetz ha appena notato un vitellone isolato dal gruppo. nemmeno il tempo di avvicinarsi che compare un toro di 600 chili, il capo del branco. ma come, una povera bestia scarpina fino a 2800 m e non può nemmeno assaggiare una bistecca? l’orso ingaggia una lotta feroce con lo yak, che soccombe per le letali zampate al collo.
l’animale, moribondo, viene rinvenuto dagli operai di una funivia e reynoldmessner – con l’aiuto di un veterinario e della rituale bottiglia di amaromontenegro – lo aiuta a morire. ora all’appello manca rgya smyug (brunetta, in lingua tibetana): forse la femmina di yak è caduta in un burrone mentre fuggiva oppure l’orso potrebbe averla uccisa e seppellita come scorta di cibo.
il noto alpinista ha denunciato l’accaduto, descrivendo con toni epici e drammatici il titanico scontro tra lo yak e lo yeti. fradicio di grappa al mirtillo, ha confuso il sudtirolo con il tibet.