apotekonomastica

  • religiosi

    al redentore
    al s. andrea
    al s. lorenzo
    al samaritano
    alla maddalena
    alla madonna
    alla madonna del mare
    alla redenzione
    all’angelo d’oro
    all’annunziata

  • pomposi

    al sansovino
    alla fontana imperiale
    alla giustizia
    alla salute
    all’alabarda
    all’aquila imperiale

  • mitologici

    ai gemelli
    al centauro
    alla minerva
    all’amazzone trionfante
    all’ercole trionfante
    all’esculapio
    all’igea

  • naturalistici

    ai due lucci
    al cammello
    al castoro
    al cedro
    al giglio
    all’orso nero

un più rigoroso criterio sistematico richiederebbe l’inserimento di all’alabarda tra gli apotekomini d’origine religiosa; qui si preferisce assecondare il [delirante, nda] immaginario triestino.
si precisa che i nomi non sono legati alla toponomastica della città o conseguenza del primo pacchetto di liberalizzazioni del ministro bersani (d.l. n°223/06), che disciplina la distribuzione di farmaci da banco o di automedicazione presso gli idonei esercizi commerciali (supermercati, parrocchie, locande e osterie storiche).

the collector

con queste raffiche solo un don quixote affronta via mulino a vento. io, invece, prendo il 48. anzi la 48, finché trieste non si arrenderà alla scomparsa della filovia (l’ultimo filobus si è estinto nel ’75, forse a causa di un meteorite).
mi immergo nel maelstrom di largo pestalozzi, dove la bora infuria e si avvolge, discesa la vena di via dell’istria, per risalire rabbiosa l’arteria parallela. è di vitale importanza esporre la minima superficie: incasso la testa, mi stringo nelle spalle e infilo le mani nelle tasche… la borsa! ho dimenticato la borsa! non è tardi, sono appena le 20: il bus tornerà presto indietro.

il vento si infrange su di me ma io, saldo come una quercia, non cedo.
monto fulmineo, mi scusi hanno trovato una borsa? rapido scendo.
le folate si avvinghiano e mi strattonano, barcollo ma non mollo.
salgo fiducioso, per caso è stata ritrovata una borsa? esitante esco.
la bora mi sconquassa, mi acquatto nel portone.
mi inerpico avvilito, le hanno forse consegnato una borsa? scivolo sul sedile.

sono esausto, dopo un’ora di attesa. al terzo giro l’autista, impietosito, mi fa dono di un cordiale – un mignon di amaro del controllore – e annota in un frammento di carta il prezioso numero del centralino dell’azienda.
alle 7.30 del mattino seguente, chiamo il centralino. risponde una voce assonnata, miscela di poco caffè, molto triestino e una spruzzata di bolognese. confutata brillantemente l’esistenza di un ufficio oggetti smarriti, mi espone le 10 prove ontologiche dell’esistenza dell’ufficio oggetti rinvenuti. meglio rinvenire che smarrirsi, chiosa il magister artium. ora glielo passo, soggiunge il centralino.
mi godo la sfrigolante e patetica sonata di chitarra, interrotta da una molto voce simile alla precedente. le passo l’ufficio oggetti rinvenuti, assicura il centralino.
altri strazianti minuti di chitarrina. pronto, biascica la stessa voce di prima. ora la metto in comunicazione con l’ufficio oggetti rinvenuti, giura il centralino.
ancora gli strazianti arpeggi.

– pronto, ufficio oggetti rinvenuti.
– buongiorno. vorrei sapere se è stata rinvenuta una…
– mi spiace, deve chiamare dalle 8.30 in poi.
– per favore, mi dà il numero di telefono? così bypasso il centralino.
– bai?
– aggiro.

sono le 8.30, richiamo.

– pronto, ufficio oggetti rinvenuti.
– buongiorno, ho chiamato stamane. avete rinvenuto una…
– eh, deve chiamare dopo le 10.
– …
– prima deve passare il collettore.

il collettore. figura mitologica, con il corpo da autista e la testa da obliteratrice, si leva alle prime luci dell’alba e vaga nelle rimesse di bus in bus, rinvenendo tra le capienti braccia quanto è smarrito dagli sventurati pellegrini dei giorno innanzi. si nutre prevalentemente di caffè e croissant che si procaccia nei lunghi e perigliosi 300metri che conducono alla sede dell’azienda, ove s’affranca del soverchio fardello.

sono ormai le 10.30, l’ora giusta per telefonare al limbo.

– pronto, ufficio oggetti rinvenuti.
– ho telefonato per…
– una borsa nera?
– sì, esatto.
– può ritirarla quando vuole, ma entro le 11.
– di sera?
– ma quale sera.

precisato l’indirizzo, mi avvio verso la triestetrasporti spa. oltre il portone, un portiere travestito da autista chiede ragione della mia venuta e mi indica lo sportello antistante, a 80cm di distanza. dietro il vetro si palesa un secondo personaggio, camuffato anch’egli da autista, che con voce stranamente familiare si qualifica come ufficio oggetti rinvenuti.
descritta dettagliatamente la borsa e nell’aspetto e nel contenuto, mi viene consegnata contestualmente al disbrigo di alcune formalità. l’ufficio oggetti smarriti maneggia con cautela un enorme raccoglitore, dal quale estrae faticosamente una risma di moduli che comincia a compilare, con la lenta minuzia di un amanuense.
nel frattempo leggo gli avvisi, conto le piastrelle, risolvo a mente un bartezzaghi.
solo una decina di firme, poi posso andare.

grami tempi magri

there is hardly
any money interest in art,
and music will be there
when money is gone
duke ellington

i tre musicisti tessono jazz, mentre il vento porta via le note e i radi passanti.
un vecchietto si sofferma ad ascoltare compiaciuto una guantanamera sincopata e schizofrenica, seguendo i fraseggi del flauto con brevi cenni del capo e ampi gesti del bastone. lascia cadere la sua offerta nella custodia aperta della chitarra e poi si china, a fatica, fino a posare il ginocchio sul selciato.
la mano fruga cauta tra le monete, il flauto resta appeso ad una sola lunghissima nota.
il vecchio si rialza, puntellandosi al bastone, e ripone il resto nel borsellino. un gesto di saluto, poi si allontana traballante. la chitarra si appoggia con sollievo ad un nuovo accordo, il flauto scivola lungo una misolidia.

magari me li cambiano, questi 5euro.