alla fine lo aveva trovato.
col cuore in gola e il fiato corto aveva aggirato la macchia del cinghio e seguito l’argine del limaccio, per poi scivolare lungo la breve china umida e tagliare il campo dove si levavano i monconi spettrali del granoturco. tutto come nella mappa del bambino, studiata a memoria ché al buio come fai? ora polento lenta, si arrabbiò la bambina, le scarpe appesantite dal fango. il vestitino sembrava pulito.
tese l’orecchio, fece decantare il frinire dei grilli, ma udì solo un latrato lontano. raschiò le suole infangate contro il tronco del fico, dove la rete cedeva in una sacca floscia. un brivido gelido e bagnato serpeggiò lungo la schiena. era tesa, non aveva paura.
adesso si trovava oltre l’orto del matto, il guardiano del luogo. si addentrò con prudenza nel recinto. arricciò il naso all’odore acre e disgustoso. c’è una puzza schifosa perché l’aria è velenosa, l’aveva avvisata il bambino, ma io conosco un trucco. aveva raccolto per lei foglie di salvia, citronella e menta, strofinate a lungo sul fazzoletto umido che ora lei premeva sulle narici. il terreno era rischiarato appena dalla luna. uno scintillio la fece sussultare, così rapido da non spaventarla nemmeno. forse un gatto.
urtò il legno con il piede e seppe di essere arrivata. non somigliava proprio a quello delle fiabe: non c’erano rustiche pietre granulose o un arco elegante dalle volute in ferro battuto, ornato dai tralci. il custode era pazzo ma furbo, nessuno doveva sospettare una presenza così preziosa. questa non è una favola, pensò la bambina, è una prova. si inginocchiò e con lentezza scostò le tavole. il fetore la investì improvviso e sentì il vuoto spalancarsi tra gli occhi. temette di perdere i sensi. affondò le dita nelle cosce magre finché il dolore la sferzò, destandola.
guardò in basso, un brandello di luna in una notte liquida.
in precario equilibrio sulle ginocchia, premendo con una mano il fazzoletto sul viso, frugò nella busta di stoffa a tracolla. strinse il primo e ne saggiò la consistenza flessuosa. lo estrasse, con lentezza. funziona! aveva assicurato il bambino, il mio cane è guarito. fece cadere nella fessura un sentimento alla volta, quasi non sentì i tonfi leggeri.
si levò con uno scatto e volò oltre la rete, inciampando, si rialzò e riprese a correre. la gambe graffiate dolevano fino alle lacrime ma sorrideva, ora che tutto era a posto. il sole non era ancora sorto e i grandi si sarebbero svegliati molto tardi, dopo la grande festa.
l’uomo imprecò. non c’erano dubbi, si era ancora una volta bloccata la pompa ad immersione. ora bisognava toglierla, pulirla e capire perché si era inceppata. i soliti imbecilli, sicuro. intrecciano stupide ghirlande di rami foglie bacche, poi le gettano nel mio pozzo nero.