write something, even if
it’s just a suicide note
gore vidal
suona rabbioso il campanello, ma non aspetto visite né le ho mai attese. il campanello insiste, smorzato solo dall’aria viscosa di questa sera tropicale. behemot si alza per scartavetrare la porta e miagola sommessa, come il commissariorex quando tenta di comunicare con la mente ottenebrata di tabiasmoretti. aperta la porta, un giovane uomo dall’aria sconvolta si affretta ad entrare e, prima ancora che io pronunci una parola, si accascia sul divano. ho la curiosa impressione che conosca la casa e la nerogatto affondata nel suo grembo – lei che considera estranea perfino se stessa – non dissipa i miei dubbi. l’ospite ha il volto smagrito e livido, gli occhi scuri spiccano lucidi e gonfi nell’ombra del viso malrasato e dei capelli in disordine.
– ci conosciamo?
– io conosco te.
affonda le dita con forza nel pelo di behemot, che invece di mutilare lo sconosciuto socchiude gli occhi soddisfatta.
– che cosa posso fare per te?
– il tuo lavoro. portami dall’altra parte.
– ascolta, non posso farlo. se la tua strada fosse aperta non saresti qui. e non sei un’anima errata, non ho avuto avvisi. posso controllare nella bancadati… no, non ci sei. non
– so chi sei, fammi attraversare.
– ti ho detto che
– ho ascoltato. ho chiuso la porta dietro di me, tu apri la prossima.
– ma quale porta
– molta benzodiazepina e molta grappa.
– molto cretino.
l’ospite che chiudeva le porte scuote le spalle, mentre accarezza la nerogatto, vibrante di piacere.
– se fossi morto, ti smisterebbe il ddm. sei in coma?
– non so, sono nuovo. c’è un esame?
– no, non lo sei, altrimenti ti avrei raccolto io. strano.
– io voglio passare, del resto non me ne frega nulla.
– qualcosa ti trattiene, ma che cosa? non ci sono molte possibilità. vigliaccheria e paura fermano prima le persone. oltre il punto di non ritorno, se qualcosa non va storto, si muore o si entra in coma, ma non si viene certo a casa mia a quest’ora per
– sono qui per questo, non voglio restare in una vita che non voglio. mi trattengono i fantasmi di un amico, i sorrisi e i baci di una bambina, due poveri vecchi, una persona lontana, l’amore per una ragazza.
– che folla. io, murivu senza toccu di campani.
– la la la lero la lero la lero la lero la lero la lero la la.
– calavera, sugnu. dimmi: questa ragazza, sei qui per lei?
– nel cuore ha un groviglio eterogeneo di pensieri, sentimenti e angosce che non sa sbrogliare. rimangono lì e imputridiscono, e io con essi. cerca la sua felicità senza curarsi di ferirmi perché ho perso contorno, sfumato nel marciume. invoca distanze e tempo ma li annulla con scelte crudeli.
– negramaro.
– no, tiromancino.
– un lacryma christi?
– non mescolo alcolici, grazie. voglio liberare entrambi.
– idiota. sciolto il groviglio, le resterà solo un doloroso buconero da cui più nulla potrà farti uscire.
– mi dimenticherà e forse il dispiacere le ricorderà perché mi amava.
– ti odierà e sarai un fantasma. non hai diritto di somministrare dolore ad altri per curare il tuo.
– anche lei, se è per questo. apri quella porta e fammi andare.
– io apro solo la porta del bagno, ti metti due dita in gola e finché non hai rivoltato le viscere non esci da lì.
– io non
– ma tu guarda che gente. e quando hai finito facciamo una lunga passeggiata, possiamo parlare tutta la notte.
– mi abbraccerà ancora?
– no, finché puzzi a quel modo. e dammi quel foglietto, che cosa le avevi scritto? patetico, sembra tizianoferro… ma che cazzo di musica ascolti?