il nemico è scappato, è vinto, è battuto
dietro la collina non c’è più nessuno
solo aghi di pino e silenzio e funghi
buoni da mangiare buoni da seccare
da farci il sugo quando viene natale
quando i bambini piangono
e a dormire non ci vogliono andare.
generale – francesco de gregori
– maledetta pioggia – sospira il vecchietto accanto a me.
al riparo di un cornicione, da tempo osserviamo in silenzio il torrente che scorre nella strada e trascina la sporcizia della città e dei miei pensieri. sono agli sgoccioli del mio lungo periodo di aggiornamento, come lo definiscono al ddm. rieducazione, dico io. e mesi di fish supper da crolla’s.
– già – rispondo infine, per non essere scortese.
– straniero, eh? – chiede il vecchio, incuriosito dal mio pessimo accento.
mi limito a un sorriso, ché non ho voglia di socializzare e l’uomo sta evidentemente cercando uno spiraglio.
– meglio che inglese. cosa ci fa uno straniero sotto la pioggia di aberdeen?
– si bagna. ma tra pochi giorni si asciugherà sotto il sole di un altro cielo.
– torni a casa, allora. spagnolo?
– in un certo senso. ma torno in italia.
– italia? ah, l’italia. conosco bene l’italia. ci sono stato, in italia. bella, l’italia. italia, quanti ricordi.
ahia, penso. ora ci siamo.
– italia, dove?
– trieste, credo.
– trieste? ah, trieste. conosco bene trieste. ci sono stato, a trieste. bella, trieste. trieste, quanti ricordi.
merda.
– triestino, dunque.
– non proprio. prima vivevo dalle parti di venezia, a m*. in un’altra vita.
– m*? ah, m*. conosco bene m*. ci sono stato, a m*. bella, m*. m*, quanti ricordi.
eh, ma che cazzo. una possibilità su un miliardo, c’era. ora però sono curioso.
– m*? ti eri perso?
– era una domenica, il 29 aprile di 63 anni fa.
– seconda guerra mondiale?!
– no, la battaglia di stirling bridge.
– nell’esercito inglese?
– inglese la tua sorella, come dite voi italiani. 12° reggimento dei reali lancieri di scozia. c’erano anche i kiwi, con noi, eravamo sbarcati a napoli.
– cavalleria, insomma.
– era una corsa contro il tempo, the race for trieste. il comando dell’ottava armata aveva dato l’ordine di raggiungerla il prima possibile, prima delle truppe di tito.
– avete bucato per strada, mi sa.
– awa’ n bile yer heid.
o qualcosa del genere.
– non per colpa nostra. ordini dall’alto – continua il vecchietto.
– ma se
– più in alto. dicevo, quella domenica avevamo attraversato padova sotto una pioggia deprimente, proprio come oggi.
– ma chi?
– io e i miei compagni. formavamo una piccola avanguardia, con due daimler e un dingo.
– unità cinofila?
– ma no. due veicoli corazzati, stessa torretta del carro tetrarch, e un autoblindo leggero da ricognizione. quella mattina procedevo veloce con il visore sollevato, tra i civili che si trascinavano ai margini della strada. a circa 5 miglia da mestre, nel punto in cui una strada si dipartiva alla nostra sinistra, apparve improvvisa una colonna di carri trainati da cavalli e uomini in marcia nella direzione opposta alla nostra.
– profughi?
– tedeschi! inchiodai i freni e fred fece subito partire un colpo da 2 libbre. non molto piacevole per me, di sotto con il visore aperto, investito dalla fiammata e dal fumo. nella concitazione del momento pete non ebbe il tempo di abbassare la culatta e il cannone si inceppò. poveri civili, per la paura si gettarono nei fossi lungo la strada.
– e i tedeschi?
– non so, facemmo subito dietro-front in direzione del paesino vicino. scoprimmo solo più tardi di aver ucciso il comandante della colonna. lungo la strada entrammo in contatto con i partigiani, apparsi dal nulla. il sergente green decise che pete, fred e io saremmo andati in ricognizione verso il paese, lui sarebbe rimasto lì a fare da collegamento, con l’autoblindo e il dingo.
– e i partigiani?
– aggrappati al veicolo come scimmie.
– manca solo la magnani.
– non dimenticherò mai il momento in cui attraversai il ponte a schiena d’asino e la vista della
– m*!
– sì. non dimenticherò mai il momento in cui attraversai il ponte a schiena d’asino e la vista della piazza del paese, affollata di tedeschi e dei loro mezzi.
– erano così tanti?
– circa 600. avevo una gran voglia di battermela ma freddie non volle. la situazione sembrava disperata.
– che cosa avete fatto?
– procedemmo lentamente. mi era venuta un’idea. per fortuna pete parlava un buon tedesco e con il montgomery bianco sembrava un perfetto ufficiale.
– montgomery bianco?
– sì, me l’aveva affidato un ufficiale ferito – ridacchia – avresti dovuto vedere pete, come imbrogliò tutti quegli immacolati ufficiali tedeschi. intimò loro di arrendersi perché il paese era circondato da uno squadrone di mezzi corazzati.
– e poi?
– fred mi ordinò di uscire e raccogliere le armi degli ufficiali, che fecero il saluto e le consegnarono. nel frattempo sopraggiunse il dingo di ron taylor.
– non ci crederai, ma nessuno conosce o ricorda la nostra liberazione.
– non è finita. all’improvviso, apparvero tre spitfire e i tedeschi si sparpagliarono in tutte le direzioni
– aerei?
– caccia della raf. i nostri, insomma. ed eravamo nella merda.
– perché?
– trova tu 5 dei tuoi tra 600 tedeschi, da quell’altezza. afferrai il telo di riconoscimento e anche se fred protestò – poteva essere usato solo con l’autorizzazione del quartiere generale – lo gettai sopra il daimler. gli aerei volteggiarono bassi, sbatterono le ali e si rialzarono. grazie a dio non erano yankees!
fisso lo scroscio di una grondaia, trattenendo la commozione al pensiero del ragazzino che liberò un paese con la sua inventiva.
– più tardi fece il suo ingresso un distaccamento del 7° squadrone e tirammo un sospiro di sollievo. fu una vera festa, ho una foto di quel giorno.
una foto e il suo ricordo, nient’altro.
– con tutto quel casino, entrammo a venezia soltanto il giorno dopo. e poi partimmo in direzione di pordenone.
– pordenone?
– non proprio. un paesino vicino, porcia. lì rimanemmo per due mesi, alloggiati in una grande villa.
– ma non dovevate correre verso
– ordini dall’alto, te l’ho detto. credo che gli americani non volessero entrare a trieste dopo di noi, anche se solo noi avevamo qualche possibilità di precedere tito. abbiamo incontrato le sue truppe a monfalcone.
– immagino la frustrazione, la delusione.
– scherzi? due mesi senza combattere! ogni sera in osteria a ballare con le ragazze e a bere buon vino. anche grappa.
accenna due passi di danza.
– pure a trieste non andò male, eravamo alloggiati nella scuola di miramare e
– scuola? il castello, forse.
– sì, la scuola ufficiali dei tedeschi. e sir john harding, comandante del 13° corpo, si congratulò con il nostro squadrone: ci fu una parata in nostro onore!
gli si illumina il viso al solo pensarci.
– ehm, signor…
– soldato milne, dougal milne.
– non piove più. e ti devo una birra.