ammutinamento

il cellulare ha deciso di lasciarsi morire e rifiuta ogni alimentazione, il bancomat soffre di amnesie, il computer si prepara a svernare e immagazzina gli ultimi dati con ritmo letargico, cd autolesionisti si procurano graffi profondi, le batterie sono esauste, la flashpen mascherata si presenta irriconoscibile alla porta usb, la macchina fotografica digitale rinnega le proprie azioni, strani fenomeni di autocombustione decimano le lampadine, la stufa egoista pensa solo a se stessa, il forno a microonde è moderato e non ne vuole sapere di agitare le molecole, il citofono è autistico.
tutto questo in una decina di giorni.

se avete un bypass, girate al largo.

gelidosauro

if I read a book and it makes
my whole body so cold
no fire can ever warm me,
I know that is poetry
emily dickinson

di nuovo. si è staccato di nuovo. non è caduto tra le fauci di behemot o nella tazza di karkadè ma ora non riesco a riattaccarlo sul muro, oltre la portata della nerogatto. la pelle ha perso il suo colore bruno rosato e vira verso un tenue grigio evanescente. troppo evanescente, temo che zorba il geco soffra d’inedia o risenta del freddo. l’unica fonte di calore della casa – oltre altre risate della piccolakrukka – è una stufa a gas color cioccolato in cucina, il cui potere calorico ha un raggio d’azione di un metro scarso. la sera, quando leggeva, ingeborg si aggrappava al tubo come un koala all’eucalipto.
altro che le anatre di central park: dove vanno in inverno lucertole, gechi, ramarri e orbettini? letargo, ibernazione, emigrazione, suicidio collettivo? forse ho sbagliato a dargli asilo politico, forse ho forzato il corso della natura. ma ora non posso abbandonarlo al suo destino, la nostra è una simbiosi: quest’estate non ho visto una sola zanzara, né mosche o ragni o falene. zorba il geco ha trascorso tutte le sere sul soffitto, in agguato presso la lampadina accesa, la lingua che saettava instancabile a carpire gli sventurati invertebrati che sconfinavano nella no-fly zone. a volte inghiottiva così tanti insetti da emettere piccoli rutti sommessi. allora, sbandando ubriaco, si ritirava sopra la cornice della porta e cadeva in un abbiocco profondo. perfino la piccolakrukka gli è affezionata, a ragione non ricambiata.
la sauna al karkadè è una terapia invasiva, presumo. raccolgo il sauro assiderato, lo tengo qualche minuto tra le mani, ascolto le pulsazioni irregolari del suo respiro contro il palmo della mia mano. zorba il geco non tenta di fuggire, inerte più che fiducioso. mi sfiora l’idea di una calda e dolce eutanasia nel microonde, modalità scongelamento. scelgo una delle molte scatolette di carta portatutecosekevuoi che la piccolakrukka ha confezionato e disseminato per la casa, vi ripongo la bestiolina e la poso sulla grata della stufa. magari si addormenta e lo sveglio a primavera. devo solo ricordarmi di dargli un’occhiata ogni tanto, che non si arrostisca.
behemot segue ogni mio gesto con affettata indifferenza. quando i suoi occhi sono socchiusi in quel modo, trama qualcosa. vedi di stare lontana, nerogatto. anzi, ora ti apro la finestra e vai a limonare un po’ con il tigrato frufru.

elettrica danza

siamo in molti, seduti sul moloaudace, ad ammirare i fili, le corde, gli intrecci, i grovigli, i pilastri di luce che per brevi istanti percorrono, tessono, incrinano e squarciano il cielo dell’ovest. al balenare dei lampi appaiono i contorni e le nervature della massa oscura di nubi, mute. godiamo del vento di ponente che reca sollievo e, con subdola manovra a tenaglia, il diluvio.
ci lanciamo lungo il molo, in una corsa che sembra non finire mai, verso l’unico rifugio. ci si protegge al meglio con giacche, teli da mare, borse. accanto a me, una signora si ripara con un pechinese, zuppo quanto un mocciovileda, portato sulla testa come un colbacco. la piccolakrukka si leva i sandaletti e mi insegue scalza, ridendo e senza evitare una sola pozzanghera.
ci raduniamo tutti sotto il cornicione, un intrico di corpi bagnati e sudati, tra borse, cani, bonghi e didjeridu. sui volti storditi per la corsa e l’intenso odore della pietra bagnata, non si vedono che sorrisi. ne valeva la pena.

parole intricate

la piccolakrukka dorme. behemot dorme. e nemmeno io sono molto sveglio. forse le melanzane alla parmigiana erano pesanti.
al moloaudace il sole è allo zenit e mi sento come un filetto sulla pietra ollare. non c’è un’anima viva oltre al bambino del molo che, naturalmente, mi si avvicina. questi esseri sono irresistibilmente attratti dai pescatori o dai solitari in genere.

– ciao, che cosa stai facendo?
– un cruciverba.
– posso aiutarti? sono bravo.
– 12 orizzontale: fuma in sicilia.
– i mafiosi!
– non ci sta. 21 verticale: si affronta con cautela.
– l’orso!
– ti va un gelato?