if I read a book and it makes
my whole body so cold
no fire can ever warm me,
I know that is poetry
di nuovo. si è staccato di nuovo. non è caduto tra le fauci di behemot o nella tazza di karkadè ma ora non riesco a riattaccarlo sul muro, oltre la portata della nerogatto. la pelle ha perso il suo colore bruno rosato e vira verso un tenue grigio evanescente. troppo evanescente, temo che zorba il geco soffra d’inedia o risenta del freddo. l’unica fonte di calore della casa – oltre altre risate della piccolakrukka – è una stufa a gas color cioccolato in cucina, il cui potere calorico ha un raggio d’azione di un metro scarso. la sera, quando leggeva, ingeborg si aggrappava al tubo come un koala all’eucalipto.
altro che le anatre di central park: dove vanno in inverno lucertole, gechi, ramarri e orbettini? letargo, ibernazione, emigrazione, suicidio collettivo? forse ho sbagliato a dargli asilo politico, forse ho forzato il corso della natura. ma ora non posso abbandonarlo al suo destino, la nostra è una simbiosi: quest’estate non ho visto una sola zanzara, né mosche o ragni o falene. zorba il geco ha trascorso tutte le sere sul soffitto, in agguato presso la lampadina accesa, la lingua che saettava instancabile a carpire gli sventurati invertebrati che sconfinavano nella no-fly zone. a volte inghiottiva così tanti insetti da emettere piccoli rutti sommessi. allora, sbandando ubriaco, si ritirava sopra la cornice della porta e cadeva in un abbiocco profondo. perfino la piccolakrukka gli è affezionata, a ragione non ricambiata.
la sauna al karkadè è una terapia invasiva, presumo. raccolgo il sauro assiderato, lo tengo qualche minuto tra le mani, ascolto le pulsazioni irregolari del suo respiro contro il palmo della mia mano. zorba il geco non tenta di fuggire, inerte più che fiducioso. mi sfiora l’idea di una calda e dolce eutanasia nel microonde, modalità scongelamento. scelgo una delle molte scatolette di carta portatutecosekevuoi che la piccolakrukka ha confezionato e disseminato per la casa, vi ripongo la bestiolina e la poso sulla grata della stufa. magari si addormenta e lo sveglio a primavera. devo solo ricordarmi di dargli un’occhiata ogni tanto, che non si arrostisca.
behemot segue ogni mio gesto con affettata indifferenza. quando i suoi occhi sono socchiusi in quel modo, trama qualcosa. vedi di stare lontana, nerogatto. anzi, ora ti apro la finestra e vai a limonare un po’ con il tigrato frufru.
la frase magica per farsi seguire da un geco non può essere che “vieni geco”.
lucertole e ramarri migrano in posti caldi, gli orbettini no perchè, poverini, non ci vedono.
(poi deciditi, o è stufa, o è grata)
va bene, la smetto.
le lucertole di solito vanno in letargo, i gechi non so, quelli nel mio giardino non ci sono… comunque per affinità con le lucertole ti proporrei di forzarlo al letargo… prova a mettere uno straccio nella scatola, e riponi la scatola in cucina, dovrebbe essere la stanza più calda… [comunque la grata della stufa non mi sembra una buona idea… rischi di arrostirlo…]
lo riponga, forzandolo marsupiale, nel giustacuore
(ma questo geko è uno dei suoi penati, ormai, è la sua coscienza lucida)
giustacuore è una di quelle parole che ho spesso incontrato – da ivanhoe in poi – e di cui mi sono sempre chiesto il significato. ne sospettavo pure un fine erotico ma la pigrizia mi ha sempre inibito dal controllare.
ora, grazie alla garzanti, ne ho verificato l’accezione.
internet cambia la vita.
Dal momento che solo il Signor Effe, di questi tempi, è attrezzato di giustacuore, le propongo di tenerlo nella tasca di un più vestibile e attuale paio di pantaloni. La marsupialità mi sembra un’ottimo rimedio all’inverno: quasi quasi ci faccio un pensierino anch’io.