apotekonomastica

  • religiosi

    al redentore
    al s. andrea
    al s. lorenzo
    al samaritano
    alla maddalena
    alla madonna
    alla madonna del mare
    alla redenzione
    all’angelo d’oro
    all’annunziata

  • pomposi

    al sansovino
    alla fontana imperiale
    alla giustizia
    alla salute
    all’alabarda
    all’aquila imperiale

  • mitologici

    ai gemelli
    al centauro
    alla minerva
    all’amazzone trionfante
    all’ercole trionfante
    all’esculapio
    all’igea

  • naturalistici

    ai due lucci
    al cammello
    al castoro
    al cedro
    al giglio
    all’orso nero

un più rigoroso criterio sistematico richiederebbe l’inserimento di all’alabarda tra gli apotekomini d’origine religiosa; qui si preferisce assecondare il [delirante, nda] immaginario triestino.
si precisa che i nomi non sono legati alla toponomastica della città o conseguenza del primo pacchetto di liberalizzazioni del ministro bersani (d.l. n°223/06), che disciplina la distribuzione di farmaci da banco o di automedicazione presso gli idonei esercizi commerciali (supermercati, parrocchie, locande e osterie storiche).

il rating delle sabine

out of the ash
i rise with my red hair
and i eat men like air.
lady lazarus – sylvia plath

tento invano di sprofondare nella comoda poltroncina ortopedica, in attesa del film. alle mie spalle ignare, si consuma la tragedia.

cretino retrospettivo: guarda quella ragazza, è precisa a sabina.
morosa cupa: [sordo brontolio]
amica impicciona: chi è sabina?
morosa sprovveduta: una sua ex.
amica stronza: carina.
morosa ossessionata: assomigliano tutte a sabina, a sentire lui.
amica duntempo: [tace, imbarazzata]
morosa sarcastica: soprattutto se rosse, slanciate e col culo alto.
cretino inaffanno: ma no, patatina, che cosa dici?
morosa livorosa: vaffanculo.

knives and spirits

there are a lot of spirits in me.
manuel calavera

la porta è sempre chiusa e non ho ancora incontrato l’anestesista-rianimatore, il misterioso ed inquietante collaboratore. collabora a che cosa, mi chiedo, non l’ho mai visto. i nostri tanatoritmi oscillano su piani sghembi. non è barricato nella sua stanza, questo è certo, lo noto da piccoli dettagli: lievi spostamenti di oggetti, un bulbo di giacinti in fiore invasato in un grancru, una scorza di parmigiano sul tavolo.

l’anestesista-rianimatore ama i coltelli.
ne possiede uno, lama breve e larga, manico grave e bilanciato, che trovo nei posti più impensati, senza alcuna ragione evidente. nel lavandino, nel barattolo dello zuccherodicanna, sopra una sedia, tra le pagine di un libro. in cucina è comparsa una scatola piatta di legno chiaro, contenente un’assortimento di coltelli identici. di maniago, eh.

l’anestesista-rianimatore ama le arance.
ne avevo colmato una cesta, sono state decimate. ora lunghi trucioli e perfette spirali arancioni pendono in cucina, oscillando al minimo movimento d’aria, con grande gioia della nerogatto, che salta per ghermirli. nell’aria si addensa il profumo di zagara e giacinto.

l’anestesista-rianimatore ama i liquori.
li stiva nel frigo: al mirtillo, al limone, alla liquirizia, alla nespola, al mirto, amaro di don dome’, rum al miele. ma non li beve, li raffredda.

l’anestesista-rianimatore ha una mercedes, a giudicare dal portachiavi che talvolta compare sul tavolo. a me il ddm non ha dato nemmeno una bicicletta. forse è suo, il modello rom parcheggiato davanti al portone.
so quando l’anestesista-rianimatore è in casa. un’ombra fugace dietro il vetro smerigliato, passi scricchiolanti, il mio rivelatore di presenza: behemot rizza il pelo e soffia ostile verso la porta misteriosa, prima di attraversare lesta il parquet antistante. nell’altra casa la nerogatto si addormentava ovunque, ora attende con pazienza che mi corichi per poi acciambellarsi sulla coperta, tra le mie gambe. a volte di pazienza ne ha davvero poca. ieri sera, esausta, si è trascinata da sola nella mia camera. notando che non l’avevo seguita, ha cominciato a lamentarsi sommessamente, un miagolio crescente che presto si è aperto in un urlo.