the collector

con queste raffiche solo un don quixote affronta via mulino a vento. io, invece, prendo il 48. anzi la 48, finché trieste non si arrenderà alla scomparsa della filovia (l’ultimo filobus si è estinto nel ’75, forse a causa di un meteorite).
mi immergo nel maelstrom di largo pestalozzi, dove la bora infuria e si avvolge, discesa la vena di via dell’istria, per risalire rabbiosa l’arteria parallela. è di vitale importanza esporre la minima superficie: incasso la testa, mi stringo nelle spalle e infilo le mani nelle tasche… la borsa! ho dimenticato la borsa! non è tardi, sono appena le 20: il bus tornerà presto indietro.

il vento si infrange su di me ma io, saldo come una quercia, non cedo.
monto fulmineo, mi scusi hanno trovato una borsa? rapido scendo.
le folate si avvinghiano e mi strattonano, barcollo ma non mollo.
salgo fiducioso, per caso è stata ritrovata una borsa? esitante esco.
la bora mi sconquassa, mi acquatto nel portone.
mi inerpico avvilito, le hanno forse consegnato una borsa? scivolo sul sedile.

sono esausto, dopo un’ora di attesa. al terzo giro l’autista, impietosito, mi fa dono di un cordiale – un mignon di amaro del controllore – e annota in un frammento di carta il prezioso numero del centralino dell’azienda.
alle 7.30 del mattino seguente, chiamo il centralino. risponde una voce assonnata, miscela di poco caffè, molto triestino e una spruzzata di bolognese. confutata brillantemente l’esistenza di un ufficio oggetti smarriti, mi espone le 10 prove ontologiche dell’esistenza dell’ufficio oggetti rinvenuti. meglio rinvenire che smarrirsi, chiosa il magister artium. ora glielo passo, soggiunge il centralino.
mi godo la sfrigolante e patetica sonata di chitarra, interrotta da una molto voce simile alla precedente. le passo l’ufficio oggetti rinvenuti, assicura il centralino.
altri strazianti minuti di chitarrina. pronto, biascica la stessa voce di prima. ora la metto in comunicazione con l’ufficio oggetti rinvenuti, giura il centralino.
ancora gli strazianti arpeggi.

– pronto, ufficio oggetti rinvenuti.
– buongiorno. vorrei sapere se è stata rinvenuta una…
– mi spiace, deve chiamare dalle 8.30 in poi.
– per favore, mi dà il numero di telefono? così bypasso il centralino.
– bai?
– aggiro.

sono le 8.30, richiamo.

– pronto, ufficio oggetti rinvenuti.
– buongiorno, ho chiamato stamane. avete rinvenuto una…
– eh, deve chiamare dopo le 10.
– …
– prima deve passare il collettore.

il collettore. figura mitologica, con il corpo da autista e la testa da obliteratrice, si leva alle prime luci dell’alba e vaga nelle rimesse di bus in bus, rinvenendo tra le capienti braccia quanto è smarrito dagli sventurati pellegrini dei giorno innanzi. si nutre prevalentemente di caffè e croissant che si procaccia nei lunghi e perigliosi 300metri che conducono alla sede dell’azienda, ove s’affranca del soverchio fardello.

sono ormai le 10.30, l’ora giusta per telefonare al limbo.

– pronto, ufficio oggetti rinvenuti.
– ho telefonato per…
– una borsa nera?
– sì, esatto.
– può ritirarla quando vuole, ma entro le 11.
– di sera?
– ma quale sera.

precisato l’indirizzo, mi avvio verso la triestetrasporti spa. oltre il portone, un portiere travestito da autista chiede ragione della mia venuta e mi indica lo sportello antistante, a 80cm di distanza. dietro il vetro si palesa un secondo personaggio, camuffato anch’egli da autista, che con voce stranamente familiare si qualifica come ufficio oggetti rinvenuti.
descritta dettagliatamente la borsa e nell’aspetto e nel contenuto, mi viene consegnata contestualmente al disbrigo di alcune formalità. l’ufficio oggetti smarriti maneggia con cautela un enorme raccoglitore, dal quale estrae faticosamente una risma di moduli che comincia a compilare, con la lenta minuzia di un amanuense.
nel frattempo leggo gli avvisi, conto le piastrelle, risolvo a mente un bartezzaghi.
solo una decina di firme, poi posso andare.

53 thoughts on “the collector

  1. 1. ufficio oggetti rinvenuti ha un che di savifico, non so, mi immagino borse che prendono nuovamente vita, o piantine che da sterpaglia secca ritornano ad antichi splendori.

    2. l’ufficio oggetti smarriti esiste, ma è vuoto. a chi intendesse obiettare segnalo che per una certa dottrina cattolica, grazie alla misericordia divina, anche l’inferno esiste, ma è vuoto.

    3. secondo la tradizione popolare, per ritrovare gli oggetti persi occorre pregare sant’antonio (in alcune zone della bassa bergamasca che ho avuto modo di frequentare suggeriscono di recitare come mantra la filastrocca sant’antòne dalla barba bianca fam truà quel che me manca. a trieste immagino si dica ora et la bora).

  2. Se si fosse trattato della metro di Londra e non della 48, altro che oggetti rinvenuti: un falsoallarme da collezione, sarebbe stato. ti saresti ritrovato subito circondato da poliziotti e artificieri travestiti da autista. però (esclusivamente per il piacere di eddie e me) due paroline in tamil potevi dirle, nostro impavido generatore di nere borse sospette.

    [miru]

  3. In effetti, se è vero che il male è l’assenza di bene, è possibile immaginare l’inferno come uno spazio popolato da individui che rifiutano coscientemente il Bene (Dio), e la sua misericordia. Più difficile risulta immaginare l’Ufficio Oggetti Smarriti, che dovrebbe essere a questo punto affollato di oggetti che non vogliono essere rinvenuti. La prolusione del signor eddiemac è dunque del tutto corretta e merita un bacio accademico, con lingua accademica (il latino, presumo). Lei, Calavera, torni a fare il giro della città sui possenti mezzi municipali, ché qui vogliamo altri pretesti per parlare di filosofia (campo che non ho mai afferrato neanche in minima parte, a causa della mia notevole stupidità di base, ma che mi ha sempre divertito molto).

    tamas aquinas

  4. dici che se avessi mandato eddie e lui avesse detto ora et la bora a un triestino travestito da autista non l’avrebbero fatto brillare come solo i migliori artificieri di sua maestà?

  5. curioso,se ariosto avesse vissuto ai nostri giorni,

    astolfo avrebbe preferito affrontare gli infedeli da solo,piuttosto che arrischiarsi a recuperare un senno perduto.

    che sia tutto uno scenografico deterrente per gli smemorati?

  6. Una volta andai all’ufficio oggetti smarriti dell’Atc bolognese* per cercare lo zaino coi libri scolastici dimenticato in un raptus freudiano.

    Tra i vari oggetti rinvenuti sui vari autobus ho potuto notare una mountain bike, peraltro nuova, alcune piante da salotto** e un’ascia.

    Sbrigate le dovute formalità, è poi venuto il turno di un simpatico signore col quale ho scambiato due chiacchiere nell’attesa del mio turno. Si chiama Franz K. Gli ho anche lasciato il mio numero di cellulare, ma non mi ha ancora richiamato.

    *Anzitutto va smentito un luogo comune: i mezzi di trasporto pubblici in Emilia-Romagna non sono efficenti e pulitissimi: tendono ad assommare ritardi variabili tra le ventiquattro e le quarantotto ore, così la situazione sembra normale; se arriva in anticipo è perché è in ritardo di solo ventitre o quarantasette ore. Quanto alla pulizia, nonostante la buona volontà delle cooperative preposte al compito, un gruppetto di studenti medio di tre-quattro elementi può ridurre nel giro di venti minuti un autobus appena uscito dalla fabbrica in un catorcio che verrebbe considerato non riparabile anche da un gruppo di manutentori cubani. Come però questi continuino a circolare per le strade emiliano-romagnole (al di là dell’evidente mancanza dei cuscinetti per freni) è tuttora un mistero al vaglio di una commissione di esperti, già protagonisti di ricerche sulla stazione orbitante Mir.

    **Quelle che sembrano di plastica, e ad un attento esame tattile delle foglie il sospetto sembra diventare certezza, che però si sgretola quando si avvicina una vecchietta che le annaffia. Quando, per precauzione, si chiede all’anziana signora se quella pianta non sia di plastica, questa risponde “Ad plastga? ai n’ho brisa ghardè” (“Di plastica? Non lo avevo notato”), mescolando futuristicamente i dialetti dell’intera regione e confermando che la signora in realtà non è bolognese.

    andrea

  7. l’inferno, e spiace doverlo dire a fronte di tanta sapienza cui non son degno di passare il lucido color testa di moro sulle scarpe buone della domenica, non è affatto vuoto.

    E ha un nome e cognome: tram n° 18.

    Ho lasciato perdere da tempo l’idea che sia una normale linea di trasporto urbano. Non sarebbe possibile spiegare altrimenti, se non con l’inferno, una tal concentrazione di peccati e peccatori, borsaioli, apprendisti mariuoli generici, entraîneuses e lenoni, spacciatori, ricettatori, tagliagole, asicuratori e idrauici (quest’ultime due categorie, le peggiori).

    L’inferno, per ulteriore informazione, non è diviso in gironi, ma in posti in piedi e a sedere (in base a qual stima della gravita dei peccati commessi, lo ignoro).

    No sòlo. Ademàas tocca pagare il biglietto (valido per l’eternità e ritorno, se correttamente obliterato)

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