lo zoo di babele

un caldo odore di caffè lievemente bruciato mi sveglia. apro gli occhi e il mio sguardo incontra dapprima il sorriso della piccolakrukka, poi la tazzina che fluttua a pochi centimetri dal mio naso. non sono nemmeno le 7 ma il bioritmo di ingeborg, che anticipa il mio di un paio d’ore, regola e cadenza le ore di qualunque essere vivente nelle vicinanze. se lei è sveglia, lo siano anche manuel, behemot e il geco – che almeno può fingere.
mentre tento di bere il caffè, portato alla temperatura di fusione del quarzo, la piccolakrukka si ingozza di yogurt e müssli. senza smettere di ruminare quella segatura, biascica di sapere tutti i versi degli animali – me ne da una lunga dimostrazione, con eruzione di lapilli galattovegetali – ma non le parole italiane che li indicano. sono forse come in tedesco, che noi copiamo voci di animali?
conosce a malapena i nomi delle bestie ma devo insegnarle tutti i versi, dal miagolio al gracidio, dal nitrito al bramito. e il cane abbaia, ringhia, latra, guaisce, uggiola.
dopo averli ripetuti a lungo, passiamo alla verifica:

– la pecora?
– bela, giusto?
– e l’asino, te lo ricordi l’asino?
– ra… raia, raglia!
– bene, e chi pigola?
– i pisolini!
– i che?
– i pìupìu?