cerco rifugio all’ombra dei tigli, immergendo le caviglie nelle soffici nubi di polline di pioppo. il vialetto costeggia un muretto di cinta in cemento muschiato, oltre il quale si vedono un cortile deserto e un basso edificio intonacato di bianco, con ampie vetrate scure. sull’erba giacciono abbandonati scivoli, pedane, pneumatici, una fila di paletti, una vasca di sabbia, tubi di cemento e ostacoli vari. forse un percorso di agility. il vialetto ne segue il perimetro con una brusca svolta, oltre la quale al muretto subentra una semplice rete metallica.
svoltato l’angolo, avverto un clamore indistinto e crescente: l’intero edificio sembra vibrare. una grande porta a vetri si spalanca alla pressione sonora, che si riversa nel cortile in forma di sciame di bambini urlanti. corrono in formazione, lungo un’immaginaria spirale, finché il bimboalfa mi nota e frena l’impeto del branco allargando le braccine.
silenzio.
uno scooter lontano, il mio respiro, una pratolina che si schiude.
poi il bambino mi indica e al suo gesto l’orda mi corre incontro con un eeeeeeeeeh assordante. si avventano sulla rete come tonni in una tonnara, avvinghiando le maglie con le piccole dita rapaci, e il recinto si gonfia e geme sotto i loro urti. li conto: 23 occhi e una benda mi fissano.
il capobranco, un esserino dai capelli rasati, con l’orecchino e un tatuaggio di dragonball alla spalla, impone il silenzio. sei uno zingaro? mi interroga eccitato. incuriosito, ammetto a malincuore le mie turpi origini rom. è ‘nozzingaro è ‘nozzingaro, sussurrano da un orecchio all’altro i miei inquisitori. oggi è venuta all’asilo una bambina zingara, prosegue grave il piccolo capo. tutti i bambini, qui, sono zingari, insinuo. noevvero, noevvero, nossiamo zingari! protestano sdegnati. l’eccitazione è ormai incontenibile e il branco si disperde nel cortile urlando eeeeeeeeeh izzingari izzingariii!
mi allontano e penso agli imbecilli – maestre d’asilo o genitori – che hanno annunciato l’arrivo di una zingarella, prima di consegnarle il grembiulino con un triangolo marrone cucito sulla manica.
La bambina (5 anni) di una coppia di amici, che non era stata battezzata perche’ i genitori volevano far decidere a lei quando fosse stata grande, ha chiesto in lacrime alla mamma che la battezzassero, cosi’ avrebbe potuto andare al catechismo con le amichette. Amichette che la prendevano in giro di continuo dicendo che lei sarebbe finita all’inferno.
Si, sono tra noi. E si riproducono, anche.
eh, tu mi fai sorridere ma c’è poco da ridere.
Gli zingari rubano i bambini, si sa. Corri, piccino, corri a rifugiarti dal sacerdote, che arriva lo zingaro, che paura. (Come dicevo altrove, la cosa più pericolosa che ci sia è aver paura delle cose sbagliate)(P.S. io non ho battezzato i ragazzini i quali, malgrado una vecchia zia che inorridiva all’idea che “venissero su come dei maialetti”, per il momento non paiono grugnire. E sono stati molto lieti di non doversi sobbarcare la faccenda del catechismo, a loro descritta dagli amichetti come una noia raccapricciante)
sono ghiotti di ghiande, però.
Una dieta di ghiande è comunque sana ed economica, lo tenga presente al momento di battezzare i suoi figlioli. (La parola originale della zia Amalia era “purscelìtt”, molto più bella.)
e cmq grufolare è una bellissima parola.
peccato non poter mettere alle maestre un triangolino ogni volta che dalle loro bocche escono queste cose.
(ehi, sei bravissimo)
come tutte le cose di cui si ha paura, si tende a cambiarne la denominazione, con una più “rassicurante”. domenica c’era un articolo di ceronetti su la stampa, che evidenziava come ormai “zingari” sia in disuso. ora solo più campi nomadi e gli zingari solo più rom.
(io sono solo battezzata. e ricordo le domande inquisitorie di maestre e insegnanti sul perché non facessi la comunione o catechismo o l’ora di religione. per due volte domanda a bruciapelo: “ma sei ebrea?” il no, un po’ li deludeva, come se mancasse, comunque, una causa.
i sìngher
così li chiamavano
i sìngher
che poi il piemontese è assai simile all’inglese, e io ho sempre immaginato che i sìngher fossero dei cantanti girovaghi
o forse artigiani ambulanti, simili agli arrotini, in grado di rimettere in sesto le vecchie macchine per cucire.
ferrivecchi. chissà quante anime aggrappate a quei ferrivecchi.
Da noi si chiamavano strolìgh.
Che è un’altra parola che mi è sempre parsa bella. Mi sono fatta qualche mese fa un cd che ho chiamato “strolìgh”, con un sacco di canzoni che mi piacciono molto, e che sono molto adatte da ascoltare mentre si innaffia l’orto, o si cucina.
qui niente semi di pioppo.
hanno tagliato i pioppi.
non oso nemmeno pensare cosa abbiano fatto agli zingari.
gitano, tzigano, zingaro
belle parole, di mondi che noi stanziali possiamo solo riempire d’immaginazione (e, se va male, di paure)
stroligh = astrologo
ora, dalle parti di mio padre, che era del nordest, si diceva come ineteriezione: Crepi l’astrolega!
non so se incitando, allora, al pogrom
Gli zingari parlano sempre tedesco, non so perché. E’ come se il tedesco fosse ancora la lingua franca di un’Europa un po’ sommersa, ma viva, molto più viva di quell’altra. Anche più trafficona, chi lo nega, ma più viva e forse perfino più onesta. Mi piace parlare tedesco con gli zingari.
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