stanotte è impossibile dormire, la bora supera i 120 km/h. mi viene gentilmente offerta la tetra sinfonia di borovskji, nella straordinaria interpretazione di:
- fessurazioni del tetto – baritoni
- fenditure dei muri – tenori
- sconnessioni degli infissi – soprani
- nerogatto – violino tzigano in amore
preannunciati dal rombo di un tupolev in picchiata, si odono piccioni e gabbiani schiantarsi contro i muri delle case. ogni tanto, una delegazione di colombi si presenta sul davanzale della finestra cercando riparo. spudoratamente ed incuranti del nerogatto che si è materializzato di fronte a loro, due piccioni picchiano con il becco sul vetro, chiedendo con insistenza asilo politico. o un grappino, non so. ad ogni modo non resistono a lungo, e inesorabilmente la bora li schioda dalla mia finestra. un gabbiano grande come un capibara fallisce un’ardita manovra in virata e si spalma contro una delle mie finestre; rimane attaccato per qualche secondo, esanime, prima di essere scollato dall’ennesima raffica di vento.
sono le 7 di mattina e ancora non sono riuscito a godere di uno straccio di fase nrem. rassegnato, mi alzo per fare colazione e cerco a tentoni la moka, con gli occhi velati da membrane nittitanti come quelle del nerogatto. non rinuncio alla mia passeggiata mattutina e mi accingo ad affrontare la tempesta.
con la coda dell’occhio ho appena il tempo di notare il nerogatto mentre rotola come un cespuglio del deserto finché finisce sotto un cassonetto e lì rimane in attesa di tempi migliori. la bora ha fatto un taglia & incolla, ruotando la città di 90 gradi. scooter, alberi e persone si inchinano alla zarina dei venti. buste di plastica volteggiano alte nei mulinelli di vento come fantasmi, innalzandosi oltre i tetti dei palazzi.
attraverso la cavana correndo da un portone all’altro come se fossi sotto il tiro di un cecchino. sulle rive, una visione inattesa. il mare, dimentico del blu e del verde, è una sola candida distesa di spuma. vele bianche di schiuma si gonfiano e si alzano, fuggono al largo senza calare o mutare forma per decine di metri e poi collassano e implodono. raffiche di bora disegnano rapidi ventagli che si allargano e scivolano sull’acqua. gabbiani e cormorani ad ali immobili e tese volano all’indietro, precipitando tra le onde. e io non sento più le mani e la pelle del viso.
pochi minuti ancora e poi corro verso casa, chino e gobbo come quasimodo. nella rientranza del portone ritrovo il nerogatto con un’acconciatura da afroamericano anni ’70. sul fianco destro, un tagliando di sconto per le isole lampados, centro abbronzatura.