valle del cesano, rituale riunione di fine anno tra gli agenti di viaggio delle filiali ddm.
la nerogatto l’ho lasciata a casa per incentivarne le relazioni sociali con la fauna randagia del cortile. ho chiesto alla signora milica di darle un’occhiata ogni tanto, tra i vasetti di salvia e lavanda sul ballatoio, raccomandandole di non cecchinare eventuali pretendenti alla copula.
il casale è smarrito tra le colline, discosto dai minuscoli borghi medievali circostanti dove garriscono gli arancioni vessilli, simbolo di armonico connubio tra tutela del patrimonio ambientartistorico e profusa ed assillante offerta di alberghetti, locanducce, osteriuole. il casolare è grazioso, in stile spartarustico senza rinunce alla comodità della vita moderna: dai cappelli di paglia appesi alla parete, ornati di fiorisecchi e nastri di raso, al forno a microonde, dall’oscuro attrezzo di presunta origine contadina al frigo con erogatore di ghiaccio. ci accoglie un cordiale caminetto, la mensola della cappa ingentilita da un fascio di sterpi e cannicciuole frammisto a pere di plastica. lo si accende, pur non mancando fornelli e caloriferi, perché fa tanto atmosfera, come sobilla una collega. mi sembra di udire il rumore degli iceberg che franano, lassù al nord, mentre il nostro pm10 lorda le aranciobandiere. un idiota tira la catena del caminetto – è tesa, non significa che la cappa è chiusa? – e in poco tempo ci aggiriamo in una camera di affumicamento per lo speck.
stavolta non si conta sulla parca organizzazione del ddm. alla ricerca del lardo per condire i tacconi sa’l sgagg – nel tentativo di evitare l’antica ricetta epatoclasta in forma di minestra – entriamo in una macelleria: un trionfo di barbaja, soppressata, porchetta, salame coi lardelli, mazzafegato e ciauscolo. siamo irrisi dal macellaio, alle cui orecchie le nostre parole suonano all’incirca: buon uomo, disponete forse di vil lardo, acciocché i tacconi siano conditi con l’urlo?
nell’angolo attende un signore, enorme. mi avvicina con andatura curva e strascicata. ha il volto di èntoniquin in zorbailgreco, ma più cirrotico. avvicina al mio viso la testa, enorme, mi fissa negli occhi con sguardo liquido e grigio e mi apostrofa da dove siete? eh, sospiro, indicando con un vago cenno le campagne circostanti. io di treviso, prosegue, emigrato qui da quarant’anni.
silenzio.
fingo improvviso interesse per un lonzino.
fuori ho la macchina ma non è mia, precisa.
mi ritraggo, presentendo il serialkiller.
io ne ho una a metano, insiste, faccio mai benzina.
osservo l’auto e la vistosa ammaccatura sulla fiancata. non sembrano esservi tracce di sangue sulla carrozzeria.
conto le salsicce sul banco.
mi potete aiutare? brontola, non so usare il sefsèrvis: troppi bottoni, troppi numeri, troppe fessure. dopo un rapido scambio di sguardi, acconsentiamo e lo accompagniamo al vicino distributore.
mentre l’agente venezia fa 5euro di carburante, noialtri attendiamo nella nostra auto. d’improvviso la portiera si spalanca e l’assassino infila tutta la testa, enorme, con tutte le spalle, enormi. ha un braccio celato dietro la schiena e penso: ora questo ci trucida, menomale che siamo già morti. solo la seccatura di redigere l’autocertificazione e il verbale in doppia copia per morte in facsimile.
la mano, enorme, scatta verso il mio viso, brandendo qualcosa.
spumantedolce, brandisce.
questo per voi e grazie per il disturbo, buone feste.
aveva un solco lungo il viso, come una specie di sorriso.
ci allontaniamo con sollievo. lo osservo nello specchietto retrovisore mentre, ancora tra le pompe della benzina, si accende una sigaretta.