muli in black

he is outside of everything,
and alien everywhere.
he is an aesthetic solitary.
henry james

la pavimentazione di piazzaunità si è sollevata e nei lastroni di arenaria si è creata una frattura propagatasi per una settantina di metri, formando un dislivello di circa 30 cm. i tecnici dei vigili del fuoco hanno fornito una prima ipotesi dell’accaduto imputandone la causa alla mancanza di giunti in grado di assorbire la dilatazione della pietra sottoposta ad un sensibile e brusco innalzamento della temperatura nei giorni scorsi.

io, invece, so.
ho sempre saputo.

la piazza centrale di trieste è una pista di atterraggio per ufo e nasconde una base segreta. chi l’ha costruita? noi o loro? quali misteriose attività avvengono nel sottosuolo di trieste? sono già tra noi?
nella fascia compresa tra la sabbia d’appoggio e la pietra stessa della pavimentazione è stata riscontrata una temperatura di 34 °C.
l’omino della gelateriazoldanaproduzionepropria non mi aveva mai convinto. tutti i giorni dell’anno sul molo audace, a bordo del suo furgoncino, con la bora e con la pioggia.

qualcosa di grosso sta per accadere.

hydraulic for dummies

forse sono diffusi anche in altre città ma io li ho visti solo qui. trieste ha elaborato un concetto geniale di doppio bagno, alle cui origini non riesco a risalire.
il duplice bagno triestino consiste ovviamente in due stanze separate. non si tratta di mera ostentazione di spazi o agiatezza, in quanto arredamento e funzioni sono distinti e separati. non si può nemmeno parlare di bagno e tinello: la lavatrice generalmente è collocata in cucina. nel doppiobagno alla triestina un ambiente è destinato ad ospitare lavandino e vasca da bagno (o doccia), mentre l’altro è occupato solamente da un water ed eventualmente un minuscolo lavandino in stile trenofs. è evidente come sia possibile così evitare la contemporanea occupazione di tutti i sanitari con conseguente, fastidiosa e a volte dolorosa generazione di code. la congestione degli spazi – e non solo – può essere molto spiacevole al mattino quando entrano in conflitto le esigenze di chi, in netto ritardo al lavoro, ha bisogno di una doccia veloce e chi, con olimpica calma e dopato di caffè, si accinge a evacuare gli scarti della digestione notturna. o, peggio ancora, viceversa.
il difetto di questa soluzione idraulica risiede nella non scontata presenza del bidet che, se disponibile, viene sadicamente posizionato nel bagno delle abluzioni originando cauti quanto imbarazzanti attraversamenti di spazi aperti.
anyway, io vivo solo e il nerogatto ha la sua cassettina.

a 173 km/h

stanotte è impossibile dormire, la bora supera i 120 km/h. mi viene gentilmente offerta la tetra sinfonia di borovskji, nella straordinaria interpretazione di:

  • fessurazioni del tetto – baritoni
  • fenditure dei muri – tenori
  • sconnessioni degli infissi – soprani
  • nerogatto – violino tzigano in amore

preannunciati dal rombo di un tupolev in picchiata, si odono piccioni e gabbiani schiantarsi contro i muri delle case. ogni tanto, una delegazione di colombi si presenta sul davanzale della finestra cercando riparo. spudoratamente ed incuranti del nerogatto che si è materializzato di fronte a loro, due piccioni picchiano con il becco sul vetro, chiedendo con insistenza asilo politico. o un grappino, non so. ad ogni modo non resistono a lungo, e inesorabilmente la bora li schioda dalla mia finestra. un gabbiano grande come un capibara fallisce un’ardita manovra in virata e si spalma contro una delle mie finestre; rimane attaccato per qualche secondo, esanime, prima di essere scollato dall’ennesima raffica di vento.
sono le 7 di mattina e ancora non sono riuscito a godere di uno straccio di fase nrem. rassegnato, mi alzo per fare colazione e cerco a tentoni la moka, con gli occhi velati da membrane nittitanti come quelle del nerogatto. non rinuncio alla mia passeggiata mattutina e mi accingo ad affrontare la tempesta.
bora a triestecon la coda dell’occhio ho appena il tempo di notare il nerogatto mentre rotola come un cespuglio del deserto finché finisce sotto un cassonetto e lì rimane in attesa di tempi migliori. la bora ha fatto un taglia & incolla, ruotando la città di 90 gradi. scooter, alberi e persone si inchinano alla zarina dei venti. buste di plastica volteggiano alte nei mulinelli di vento come fantasmi, innalzandosi oltre i tetti dei palazzi.
attraverso la cavana correndo da un portone all’altro come se fossi sotto il tiro di un cecchino. sulle rive, una visione inattesa. il mare, dimentico del blu e del verde, è una sola candida distesa di spuma. vele bianche di schiuma si gonfiano e si alzano, fuggono al largo senza calare o mutare forma per decine di metri e poi collassano e implodono. raffiche di bora disegnano rapidi ventagli che si allargano e scivolano sull’acqua. gabbiani e cormorani ad ali immobili e tese volano all’indietro, precipitando tra le onde. e io non sento più le mani e la pelle del viso.
pochi minuti ancora e poi corro verso casa, chino e gobbo come quasimodo. nella rientranza del portone ritrovo il nerogatto con un’acconciatura da afroamericano anni ’70. sul fianco destro, un tagliando di sconto per le isole lampados, centro abbronzatura.