o thou invisible spirit of wine,
if thou hast no name to be known by,
let us call thee devil
la pioggia ha trama sottile, dispersa dal vento ricade in veli leggeri. allungo il passo senza meta, tra i radi passanti che si arenano lungo le vetrine illuminate. mi addentro in un parco sconosciuto, accolto con festosa empatia dal lugubre malvenuto degli alberi, corteccia e foglie avvolti da una grigia patina vischiosa. la deriva rallenta, sfiora un recinto e mi aggrappo saldamente alla barra di legno scheggiato. presa che allento all’istante, bestemmiando dioniso e tutti i лешие che hanno generosamente disseminato di schegge tutte le russie. oltre la staccionata, nello spiazzo di terra fangosa ed erba stentata, mi fissano un asino insolente e un orso intorpidito.
il somaro mi squadra a lungo, le gengive scoperte in un ghigno irridente, poi si dedica alla decimazione dei ciuffi d’erba superstiti. sempre tenendomi d’occhio, nel caso avessi una carota in tasca. l’orso mi getta un breve sguardo distratto, prima di affondare il muso tra le grosse zampe, allungato sul terreno. l’animale è assicurato ad una corta catena arrugginita, fissata ad un blocco di cemento verdastro. terra e umidità si raggrumano sulla spenta pelliccia bruna, il pelo del lungo collo è consumato dallo sfregamento del pesante collare, sul muso è rado ed ingrigito. miša ha l’aria vecchia e stanca. ancora una giornata tra le bancarelle del patetico mercatino di souvenir a izmajlovo, per turisti ghiotti di matrёški e samovar. all’esterno del recinto, il padrone fuma e ride sguaiatamente al telefonino. regge al guinzaglio un piccolo orso, ancora un cucciolo, appeso al polso come un palloncino sgonfio.
ingeborg mi aveva parlato del magnamiele: talvolta, di sera, passava a salutarlo. in cambio di una mela ed una manciata di ghiande, il bestione ascoltava con pazienza i suoi discorsi aggrovigliati. ho un disegno, spedito per lettera: l’orso è ritto, un colbacco sul testone, e conversa amabilmente con la piccolakrukka. sullo sfondo, un asino rumina torvo.
per giorni ho seguito i passi di ingeborg, lungo i fili dell’intricata ragnatela tessuta dai suoi racconti: lettere, telefonate, un breve diario moscovita rinvenuto nella casa di boris, ora disabitata. non potevo sottrarmi a questa inutile ricerca.
erano solo ghiande e torsoli di mela ma ci piacevano, a me e all’orso.
ora, seguitemi.
in origine – forse fin dalla civiltà micenea – dioniso era una divinità legata al mondo vegetale (era spesso chiamato dioniso dell’albero), probabile rappresentazione antropomorfica di un antico culto dell’albero, simbolo della potenza della natura e dei suoi cicli di nascita e morte. tra le piante associate al culto di dioniso viene citato da demostene un imprecisato pioppo bianco (léikis). un semplice cambio di vocale e la parola diviene léykos (bianco). se la betulla fosse cresciuta anche nell’antica grecia non avrebbe potuto che chiamarsi léikis. quale fungo cresce in relazione simbiotica con le betulle? l’amanita muscaria, dai noti effetti neurotropici – in siberia sostituita solo di recente dalla vodka.
qui il cerchio si chiude. ma se trovo un’altra amanita, ve lo riapro e dimostro che atlantide era al largo della kamčatka.
медведь (medved’): a nord dell’emisfero boreale l’orso è il signore degli animali, con attributi quasi umani: la statura, la struttura scheletrica, l’orma, la posizione eretta, la dieta. pur potenzialmente pericoloso per l’uomo, l’orso è piuttosto un rivale nella caccia e, se non se ne invadono gli spazi, non compromette le chance dei cacciatori. con la comparsa degli allevamenti, l’affinità non viene meno: è il lupo il vero nemico. l’orso è riunito in comunità troppo esigue e disperse per costituire una fonte primaria di sussistenza; la pelliccia e le carni sono preziose e ad altre parti – come artigli e denti – sono attribuite proprietà magiche, ma le ragioni della sua caccia sono principalmente altre. per il cacciatore l’uccisione di un orso è prova di coraggio e abilità, ma prevale la dimensione sacra dell’animale, evidente nel complesso di pratiche e credenze antichissime note sotto il nome di culto circumpolare dell’orso. questi riti mirano al controllo dell’animale e, attraverso di esso, di forze e risorse della natura. l’uomo ha sempre attribuito grandi poteri agli animali da cui dipendeva per la sua stessa sopravvivenza: al centro del suo universo, divengono totem, quindi suoi antenati e creatori dello stesso mondo. Ciò determina un insieme di tabù concernenti le modalità per uccidere e scuoiare l’orso o preparare e mangiare la sua carne, oppure riguardanti alcuni segmenti della comunità – soprattutto le donne – o coloro con esperienze di incontri e visioni. i tabù cadono solo in presenza di un orso pazzo, spirito maligno, che ha aggredito e ferito senza apparente motivo.
alla credenza che l’orso possa comprendere il linguaggio umano è legato il fenomeno del tabù linguistico, per cui al vero nome viene sostituito un noa name o espressioni varie (in finlandese esistono circa 200 sinonimi), al fine di evitare il conflitto tra l’uomo e l’animale. in europa il reale nome dell’orso risale alla radice proto-indoeuropea *rkÞo-s – ricostruita sulla base del latino ursus, del greco árktos e di altre lingue come il sanscrito e l’indoariano – radice presente in tutte le lingue neolatine. tra le popolazioni nordiche delle grandi foreste, invece, troviamo solo noa names: bruno nelle lingue germaniche, magnamiele in quelle slave, irsuto in quelle baltiche, buonvitello in quelle celtiche. dalla regia mi suggeriscono che forse anche la radice proto-indoeuropea è descrittiva, in quanto l’affine parola sanscrita rakshas significa ferita. non sono note le ragioni precise di questa cautela: forse i cacciatori non volevano allarmare l’orso braccato, o credevano che potesse irritarsi e sottrarre loro la preda, oppure temevano di diventare essi stessi vittime. le popolazioni mediterranee lo nominavano con sfrontatezza solo perché incontravano più minotauri che orsi.
il culto dell’orso è diffuso in tutto il mondo. i viscidi algonchini (america settentrionale) invitano l’orso braccato ad uscire dalla tana con frasi come esci, caro nonno orso, è una splendida giornata, vieni fuori, vorrei accendere la tua pipa: spesso gli orsi perdono l’accendino. lo schizofrenico cacciatore ostiaco (siberia occidentale) chiede stupito al compagno, abbonato a focus, chi abbia ucciso l’orso: certo non l’abbiamo ucciso noi, forse l’hanno ucciso gli uccelli, forse altri cacciatori della russia. gli stronzi tungusi (siberia orientale), sulla base di falsi dossier della cia, incolpano del gesto le popolazioni vicine (solitamente gli ostiachi).
noa words: per i linguisti si tratta di parole libere da tabù. in hawaiano noa (libero) si contrappone a kapu (proibito), che si riferisce ad un antico sistema di leggi e regole, affine al polinesiano tapu o tabu. nel linguaggio pubblicitario indicano parole utilizzabili nella creazione del nome di un prodotto perché prive di connotazioni sacre, volgari o scorrette nel paese preso in considerazione per la commercializzazione. per dire, non è una buona idea vendere pennelli cinghiale nei paesi arabi.