hitdog

a door is what
a dog is perpetually
on the wrong side of
ogden nash

e otto. la caparbia idiozia di quel cane non finisce di stupirmi. da otto giorni, quando passo davanti all’agenzia casemaiviste, il lustro cotechino dalle orecchie pendule si scaglia instancabile contro la vetrina.
la prima volta, facendo due passi, mi ero soffermato a curiosare tra gli annunci e le planimetrie colorate. la nerogatto mi lucidava le caviglie e gnaulava, esortandomi a proseguire. l’ufficio era arredato secondo i precetti della monochromentropy: scrivania, poltroncina, imac, fax, stampante, faretti, mensole e raccoglitori in ordine sparso e arancione su 40 metriquadri. un corpo estraneo – tailleur, foulard e occhiali blucobalto – sedeva imbalsamato alla scrivania. la mummia, notata la mia presenza, inarca voluttuosa la schiena, si massaggia indolente la nuca, sboccia in un sorriso invitante, finge leziosa di rispondere al telefono. un inaspettato, violentissimo tonfo mi scuote e d’istinto mi allontano dalla vetrina: un bassotto si è schiantato contro il vetro come un moscerino sul parabrezza. latra furiosamente, lo intuisco dal labiale. di behemot nessuna traccia, evaporata nell’aria.
da allora passo davanti all’agenzia ogni giorno, spesso scortato dalla nerogatto che addirittura mi precede. sistematicamente il bassotto verifica le controverse ipotesi circa l’impenetrabilità dei solidi: si stampa sul vetro, ricade sul dorso, si rialza con una rapida torsione, sbraita. ora la tizia non tenta più di sedurmi e mi fissa sempre con sguardo carico d’odio. la stronza intelligenza del felino ha prevalso sull’istinto: a poco a poco la nerogatto ha zampettato sempre più vicino alla vetrina, arrivando a strofinarvi il fianco. ieri, delusa dall’insolita apatia del cretino, behemot si è appoggiata al vetro, resa cieca dai riflessi, sino a scatenare la furia canina. poi è fuggita, trillando felice come solo i gatti sanno fare. ama il brivido, la scema.
sfotti pure, nerogatto: un giorno quella porta sarà aperta.

i segni del tempo

un miagolio basso, rauco, continuo. come un rantolo.
sorprendo la nerogatto sullo schienale del divano, vibrante come un diapason. seguo la direzione indicata dal suo muso appuntito fino ai ripiani della liberia, dove scorgo zorba il geco, stampato sul dorso di un libro. behemot trattiene la preda con lo sguardo, comprime e assesta un muscolo alla volta, studia traiettorie impossibili. i calcoli sono tutti sbagliati, le dico, puoi solo schiantarti. tento di dissuaderla, premendole una mano sul fianco, ma il suo ruggito soffiato è più convincente e mi allontano io. la raffica d’avvertimento, una rapida scarica di mollette da bucato, la induce a desistere ma la nerogatto, scivolando silenziosamente fuori dalla stanza, mi lancia un ultimo inequivocabile sguardo: non finisce qui.
zorba appare smagrito. forse per il lungo letargo, forse per la sauna, forse è un altro geco. avrei dovuto marcarlo con un pennarello, per distinguerlo dai suoi simili.
getto uno sguardo fuori dalla finestra. solo in caso di brutto tempo zorba si rifugiava tra i libri, altrimenti era solito ornare la parete sud, tra la finestra e la stampa di andreapazienza. e ripensandoci, mentre rincasavo non ho notato l’onnipresente e marmoreo gatto su pilastro [anonimo, 2006]. brutto segno.
guardo il cielo, e già sembra più grigio.

non agitare prima dell'uso

i don’t want to be buried
in a pet sematary
pet sematary – ramones

a roma, al centro cefalee infantili dell’ospedale san carlo di nancy, da oltre 3 anni viene applicata la pet therapy. i risultati soddisfacenti hanno indotto ulteriori sviluppi nella sperimentazione, coinvolgendo anche soggetti adulti affetti da cefalee, disagio psichico, autismo. circa un anno fa è stata allestita, all’interno di uno steccato ricavato tra i reparti, una fattoria: un giardino con stalla, voliera e gabbie. sono ospitati una decina di conigli, due pecorelle, una capretta, due pony, 50 canarini, due grandi cani, alcuni gatti, una tartaruga in asilo politico.
dai primi studi, nonostante il numero limitato di pazienti non consenta statistiche, emerge che le sedute portano ad una drastica riduzione dei farmaci, come pure la diminuzione di frequenza e durata degli attacchi di cefalea.
gli animali sono scelti secondo le loro peculiarità: roditori per problemi psicologici e mentali, ovini per le emicranie, equini per disturbi motori, felini e cani come bassa zampavalanza. è stato verificato mediante elettroencefalogrammi come le fusa del gatto producano benefici effetti a livello cerebrale; il maiale grigliato, invece, sembra stimolare la socializzazione.
gli animali più adatti sono mansueti, rassicuranti, con una folta pelliccia in cui affondare le mani – sconsigliati i grizzly – ricavandone un grande senso di rilassatezza. coinvolto nel progetto anche il cantautore luciodalla, volontario e testimonial dell’iniziativa.
interessante. mentre approfondisco l’argomento, noto con la coda dell’occhio la nerogatto che si allontana furtiva con la mia flashpen tra le fauci. sarà il pelocorto ma behemot è il pet meno indicato: la sua presenza è fonte di agitazione, nervosismo, ansia, boli di pelo, carestia e disastri. non l’ho scelta io, mi ha scelto lei: avrei preferito un bradipo, concilia l’indolenza. per la piccolakrukka un pesce rosso, l’ideale per la logorrea compulsiva.

tirar sarde

it’s okay to eat fish because
they don’t have any feelings
kurt cobain

la primavera sembra mantenere salda la rotta, ora, e approffittando della finestra sempre aperta la nerogatto scorazza tra casa e cortile, via ciliegio. dopo il lungo inverno è comparso ancora il tigrato: i due si frequentano ancora, anche se behemot sembra aver respinto ogni proposta riproduttiva. il tintinnante spasimante si è prima annunciato con teneri doni sul davanzale, forse intimorito dalle ronde notturne di gattoguercio, il compagno di scorrerie – e merende – di behemot. ogni mattina il tigrato ci faceva trovare un pensiero: un topolino, una minuscola pigna, una lucertola priva di coda, una cordicella, un tappo di sughero, un grillo, un calzino lacerato. gli animaletti presentavano spesso chiari segni di avanzata decomposizione: è probabile che il collare salvavitabeghelli – per gli altri, si intende – gli impedisca di catturare una preda viva. quel povero gatto si è adattato ad una vita da sciacallo, alla ricerca di carogne.
ora invece il tigrato si presenta direttamente alla finestra, preceduto dall’irritante campanellino, nemmeno fosse un lebbroso. al primo lontano tintinnio, la nerogatto salta sul davanzale per attenderlo, si strofinano l’uno contro l’altra girando in tondo – rischiando di precipitare – per poi andare a limonare altrove. ho visto behemot condividere una lucertola da lei catturata, agonizzante ma viva: al fidanzatino non sembrava vero di poter giocare a hockey con una vera preda.
ieri il pescivendolo mi ha regalato un cartoccio di sardoni. tornato a casa, ho scorto il tigrato nel giardino e ne ho tirato un paio nelle sue vicinanze. i sardoni sono rimbalzati sull’erba inseguiti dal lebbroso, che mai avevo visto così eccitato: muovono! acchiappo e muovono! omopesci e muovono acchiappo!
non l’avessi fatto: la vicina di casa ha rovesciato in cortile un secchio d’acqua, facendo schizzare il tigrato lungo il muro di cinta per almeno due giri prima che riuscisse ad infilare il pertugio sul fondo. no se tira sardoni in giardin! ha strepitato la vipera, mentre il suo cotequiño si scatenava con alti latrati.
le rigo il cane, le rigo.