lunghe di sterminati
fili in lunga fila
un lieve soffio caldo sul collo, una morbida e sinuosa carezza sulla spalla, aprire gli occhi e incontrare lo sguardo d’ambra del nerogatto, allungarsi sul letto provando la strana sensazione di non poter stringere nulla tra le mani, alzarsi e sentire sotto i piedi il caldo e ruvido contatto del vecchio parquet, entrare in cucina smussando gli angoli e le asperità del mondo, preparare il caffè d’abbrivio, scoprire che i frollinicongoccedicioccolatocoop sono finiti, scivolare nei jeans e in una maglietta per fronteggiare l’imminente crisi ipoglicemica, inciampare nello smiaugulante nerogatto, le clarks e giù per le scale, spalancare il portone e puntare al panificio dietro l’angolo
fila.
non lo svolto nemmeno, l’angolo. fila, una sovietica fila. il gesto istintivo di cercare la tessera nella tasca posteriore dei jeans e il conseguente, disperato stupore del noncelò! mi stringe lo stomaco. mi riprendo, schiarisco la voce e bisbiglio al vecchio che mi precede:
– ma cosa fate qui, tutti in fila?
– per il papa, no?
cazzo il caffè.
Lasciami indovinare: è scoppiata la moka dimenticata sul fornello accesso, il caffè è schizzato dappertutto e sul soffitto ha preso forma un’immagine marroncina. Avremo un Papa nero.
vi è un particolare inquietante: le macchie sembrano aver formato l’immagine di sir oliver skardy. o al limite, di zucchero.